sito in difesa dell'aborto di primo trimestre come elemento irrinunciabile e sacrosanto della libertà e della salute piscofisica della persona di sesso femminile, in un periodo in cui, a causa del predominio dell'ideologia cattolica, unita ad istanze di politica demografica di tipo fascista e del ritorno di una concezione mistico-sentimentale dell'embrione e della riproduzione umana, difendere l'aborto è diventato politicamente scorretto e culturalmente sconveniente.

sabato 14 aprile 2007

LE RADICI PSICOLOGICHE DELL’ANTIABORTISMO. L’ANCESTRALE TIMORE PER L’ESTINZIONE DEL GRUPPO UMANO E L’OSSESSIONE RIPRODUTTIVA. È verosimile che la mentalità anti-abortiva sia il residuo di un primordiale istinto di conservazione della specie umana che potrebbe essere chiamato “ossessione riproduttiva”. Gli altri animali si riproducono inconsapevolmente e meccanicamente sotto la spinta ormonale che li porta ad accoppiarsi nei periodi dell’anno in cui sono fertili. L’uomo, invece, gradualmente deve aver acquisito la consapevolezza dei meccanismi della riproduzione e della loro necessità per la continuità della specie. I capi dei gruppi primitivi devono, prima o poi, essersi resi conto che il numero degli uomini che avevano al loro seguito e che assicurava la prosperità e la difesa della comunità, dipendeva dal numero di gravidanze che si iniziavano e che si portavano a termine. La gravidanza insieme alla fertilità del corpo femminile divennero oggetto di pratiche magiche propiziatorie, come attestano quelle orride statuine paleolitiche, dette, con notevole eufemismo, veneri, dove la figura della femmina umana è ridotta ad un paio di mammelle ipertrofiche e alla prominenza del ventre strumento di produzione. Ma pare che gli uomini del paleolitico venerassero anche delle vulve scolpite nell’osso. Dunque sembra che il fenomeno religioso fin dai suoi primordi si sia fondato sul culto della fertilità femminile e per ragioni umane, davvero molto umane, che con il divino e lo spirituale avevano ben poco a che vedere. È ovvio che, se le gravidanze e i parti delle donne, fin dalle origini della vita sociale umana, furono avvertiti(al pari della fecondità della terra)come una condizione di sopravvivenza del gruppo e di accrescimento della sua potenza, qualunque cosa ne impedisse il buon esito( mezzi contraccettivi, pratiche abortive, pratiche sessuali non vaginali e omosessualità) fosse percepita dalla società, soprattutto da quelle molto primitive, nomadi e tribali, come minaccia per la loro sopravvivenza, contro cui si doveva reagire in maniera severa ed inflessibile, anche a costo di sacrificare la libertà degli individui. In particolare, il tabù religioso contro l'aborto deve essere derivato dal terrore di interferire in un processo, quello riproduttivo, di cui non era ancora possibile conoscere tutte le cause naturali e che quindi tendeva ad essere attribuito all'intervento diretto di forze numinose o divinità. Questo può spiegare l'avversione all'aborto nei Pitagorici e in alcuni culti templari misterici dell'antica Grecia. Altrimenti, nelle società non cristiane la pratica abortiva quando era riprovata lo era o perché si privava la famiglia di discendenti o perché avrebbe privato la società di manodopera e forza militare. Di fronte ad esso, tuttavia, c’è Aristotele che riconobbe l’opportunità di interrompere le gravidanze(prima che l’embrione diventi un essere animato)nei momenti in cui fosse necessario combattere la sovrappopolazione. In ogni caso, tutte le società, ogni volta, che hanno deplorato le pratiche contraccettive e abortive lo hanno fatto solo perché si sentivano minacciate nella loro continuità materiale. Non è inesatto dire che, almeno fino alla metà del Novecento, l’aborto fu riprovato e represso precisamente e principalmente per questo motivo di ordine pubblico, nonostante che il cristianesimo avesse instillato, soprattutto nelle donne più ingenue e semplici, il culto della vita prenatale come qualcosa di sacro e di inviolabile. La personificazione del concepito come fondamento del divieto di aborto è cosa recente e pressoché l’esclusivo prodotto della filosofia teologica della Chiesa cattolica moderna. Ma, in realtà, ancora oggi l’atteggiamento ostile nei confronti dell’aborto presente, oltre che nel mondo politico, anche in parte della popolazione si può presumere che sia influenzato dai seguenti fattori: (a)da scarsa o distorta informazione scientifica sulla vita intrauterina che favorisce l’idealizzazione dell’embrione e la sua identificazione con il feto o con il neonato o la retrodatazione dell’acquisto dell’individualità al momento del concepimento, secondo il noto argomento “tutti noi siamo stati embrioni, quindi l’embrione è un nostro simile” (in realtà l’embrione non è un nostro simile,è soltanto l’entità organica che ha costituito la premessa della nostra vita umana soggettiva ed individuale. La vita intrauterina non può essere definita come vita individuale finché l’embrione non acquista una sia pure potenziale capacità di vitalità autonoma-feto pronto per la nascita, anche se immaturo- e non può essere definita soggettiva finché non si possa registrare l’inizio di un minimo di attività nervosa e cerebrale) (b)dal convincimento(proprio di ideologie anti-individualistiche)che l’embrione non appartiene alla donna che deve prestargli il proprio corpo e le proprie sostanze vitali per farlo diventare un individuo umano completo, pronto per la nascita, ma che sia piuttosto un patrimonio della collettività, qualcosa che appartiene al gruppo di cui deve assicurare la continuità e la forza numerica (c)dalla tendenza a generalizzare la propria esperienza della gestazione(o di quella della propria compagna)e la propria apertura psicologica verso la procreazione, disconoscendo la legittimità dei sentimenti di segno contrario: molti, sia uomini che donne, si dicono contrari alla interruzione volontaria di gravidanza perché sono rimasti commossi davanti all’immagine ecografica del proprio figlio, ma queste persone non si rendono conto che i sentimenti che provano loro nei confronti del proprio embrione non devono necessariamente essere provati da qualunque persona incorra in gravidanza. E, in ogni caso, tali sentimenti non possono trasformare in persona ciò che persona oggettivamente non è. In realtà, nello stadio attuale, l’umanità dovrebbe essere abbastanza razionale, da non sentirsi minacciata nella propria sopravvivenza da aborto e contraccezione. Tutto si può dire tranne che la specie umana rischi di estinguersi per scarsità di procreazione(e del resto l’aborto non ha una forte incidenza sul declino demografico, perché dove non c’è l’aborto libero, presumibilmente,almeno nelle classi sociali culturalmente più evolute, la procreazione viene evitata con costumi sessuali molto più restrittivi e con un più attento uso dei mezzi contraccettivi disponibili). Dunque sarebbe ora che, tutti coloro che sono contrari alle legislazioni permissive in materia di IVG, iniziassero a riflettere sulla realtà dei fatti e degli interessi in gioco e a chiedersi se davvero vale la pena di lottare per togliere alle persone di sesso femminile il diritto di disporre della propria sfera riproduttiva. Se è davvero utile e tollerabile, proprio dal punto di vista etico, che in una società evoluta, che si dice rispettosa dei diritti umani, lo stato si sostituisca alla persona direttamente interessata nel decidere se una gravidanza debba o meno proseguire.

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